Pavel Evdokimov nasce a Pietroburgo nel 1901 da una nobile famiglia. Il padre, un ufficiale dell’esercito, è ucciso nel 1907. Dopo la Rivoluzione del 1917, si rifugia dapprima a Kiev, poi a Costantinopoli, infine a Parigi (1923). Qui, mentre lavora alla Citroën, studia alla Sorbona e all’Istituto Saint Serge. Nel 1927 si sposa per la prima volta, matrimonio che finirà per la morte della moglie nel 1945 e da cui nasceranno due figli. Durante la guerra partecipa alla resistenza come responsabile dei rifugiati. È qui che nasce il suo impegno ecumenico, sviluppato soprattutto dal dopoguerra in seno al Consiglio Ecumenico delle Chiese. Dal 1953 insegna all’Istituto Saint-Serge. Nel 1954 si sposa per la seconda volta. Partecipa come osservatore all’ultima sessione del Concilio Vaticano II e insegna all’Istituto di Studi Ecumenici della Facoltà di Teologia Cattolica di Parigi. Muore a Meudon, nei pressi di Parigi, nel 1970.
Il primo scritto di Evdokimov è su Dostoevskij e sulla libertà umana, cupa e tragica, tema che richiama le riflessioni di Berdjaev. Se Bulgakov gli ha dato “l’istinto dell’ortodossia”, è Berdjaev che ha svegliato in lui le intuizioni decisive: la debolezza di Dio davanti alla libertà dell’uomo, l’antinomia dell’abisso e della croce, una penetrazione rinnovata del mistero trinitario dove si svela un Dio “patetico”, “pathôn théos”, una antropologia che guarda all’uomo come “microcosmo” e “microthéos”. Evdokimov partirà da qui, e già nella dualità dei suoi maestri sta il suo genio di sintesi. Egli comincia a lavorare quando i grandi rappresentati della prima generazione dei teologi russi in Occidente sono messi da parte dalla generazione dei più giovani per un ritorno rigoroso, spesso accusatore, alla grande tradizione patristica e bizantina. La grandezza di Evdokimov è di aver rifiutato questa opposizione, integrando nella grande Tradizione patristica, palamita e filocalica le intuizioni maggiori della filosofia religiosa russa, quali ad esempio il personalismo e l’impatto della teologia con le scienze moderne. Per lui esiste una provvidenzialità dell’emigrazione russa, grazie alla quale, per la presenza attiva di una brillante élite di pensatori religiosi russi in Occidente, l’Ortodossia esce bruscamente dal suo isolamento secolare e il confronto tra Oriente e Occidente diventa un fatto irreversibile della storia.
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Il mantello di Elia