[IL VANGELO DI TUTTO L'ANNO] XXVII TEMPO ORDINARIO – Domenica (A) 3

Quando, durante il Concilio Vaticano II, si parlava della relazione fra cristiani ed ebrei, si sentirono voci, che forse anche oggi si sentono, che affermavano che gli ebrei sono un popolo dannato da Dio, maledetto a causa del loro rifiuto del Messia predetto dai profeti. Chi parlava cosí cercava di provarlo con i testi della Sacra Scrittura. Dato che l’antisemitismo è ancora vivo, fu opportuno che anche il Concilio si occupasse della questione. Va da sé che è un grande errore interpretare i testi della Scrittura a scopi politici e con una mentalità nazista. D’altra parte, per san Paolo, ebreo di nascita e di convinzione, il mistero d’Israele è parte dei grandi misteri della salvezza. Perché dobbiamo meditare a questo proposito? Perché vi possiamo vedere, come in un’immagine, il mistero della nostra chiamata da parte di Dio e la tragedia che vi è sempre congiunta.
L’idea della chiamata di Dio è fondamentale nella Bibbia. Si tratta delle scene piú eloquenti della storia umana. Ricordiamo Mosè che si avvicina al roveto ardente (cf Es 3,1-6), la visione di Isaia (cf Is 6,1-10), il dialogo fra Dio e Geremia (cf Ger 1,4-10). Dio chiama un uomo perché vuole affidargli qualche missione: “Andrai e dirai!”. Un uomo concreto deve annunciare agli altri la parola di Dio. Ma come sa di essere scelto a questo scopo? Spesso Dio gli appare in una visione. Altrimenti arriva un messaggio per comunicargli ciò che deve dire. Fu il profeta Samuele ad annunciare a Saul e a Davide che dovevano diventare re (cf 1Sam 10,1; 16,12-13). C’erano in Israele sacerdoti della discendenza di Aronne che furono chiamati fin dalla nascita ad essere mediatori fra Dio e gli uomini. Questi casi riguardano la vocazione delle singole persone, ma tali vocazioni personali si collocano in mezzo alla grande vocazione dell’intero popolo d’Israele: essere la vigna eletta del Signore in mezzo al mondo pagano.
In tutte queste vocazioni, Dio mostra che ha scelto liberamente certe persone. Perciò esige che gli si risponda nello stesso modo: con un libero consenso. L’uomo libero ha la possibilità di rinunciare alla chiamata. Giona provò a fuggire (cf Gn 1,3). Ma può succedere di peggio: si può accettare e in seguito diventare infedeli. Tale è il caso del popolo di Israele. Gli ebrei accettarono la loro vocazione con la solenne alleanza sul Sinai (cf Es 19,3-8), un’alleanza piú volte rinnovata e codificata nella legge. D’altra parte, tante volte e in tanti modi si mostrarono infedeli all’alleanza e alla fine rifiutarono di accettare ciò per cui essa era stata conclusa: essere una preparazione ad accettare Cristo. Che conseguenze ne seguirono?
La parabola dei vignaioli infedeli finisce con un’ammonizione severa: “Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Mt 21,43). L’infedeltà alla vocazione porta ad un rigetto, ad una condanna. Colui che fu chiamato “benedetto” diventa “maledetto”. Si può quindi dire il popolo ebraico maledetto?
Già abbiamo detto com’è pericoloso interpretare i misteri religiosi in modo politico o nazionale. L’interpretazione dogmatica deve partire dalla visione integra della salvezza del mondo e non essere vista in modo isolato. Secondo la parabola, la vigna del Signore è tolta agli ebrei e data a nuovi vignaioli. Chi sono questi nuovi? La funzione dell’antico Israele è esaurita, la nuova chiamata è data alla Chiesa nella quale tutti sono chiamati, quindi anche il popolo ebraico, questa volta non in modo privilegiato, ma in unione a tutti gli altri popoli.
Come abbiamo già detto, la storia d’Israele è immagine dell’evoluzione spirituale di tutti noi. Anche noi siamo stati benedetti nel nostro primo padre Adamo. A causa della sua infedeltà siamo divenuti tutti maledetti. Dio benedice tutto ciò che crea, cioè dà la vita. Il tentatore attira l’uomo nella maledizione del peccato, cioè nella morte. Questa divenne la nostra sorte comune, e nessuno può evitarla. Tuttavia scrive san Paolo: “Non c’è dunque piú nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesú” (Rm 8,1). Gesú prese la nostra maledizione su di sé per liberarci da essa. La nostra situazione è quindi particolare. Non possiamo dividerci in due gruppi totalmente separati: benedetti e maledetti. Esistono però quelli che vogliono liberarsi dalla loro maledizione e altri che vogliono restare lontani da Dio e dalla vita. L’antico impero romano distingueva gli uomini liberi dagli schiavi, piú tardi aggiunse anche la categoria dei “liberti”, coloro che erano stati liberati dalla schiavitú. Il cristianesimo conosce solo questo terzo tipo: non siamo infatti liberi, ma liberati.
È nota l’obiezione dei teologi ortodossi contro il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Il fatto che sarebbe stata libera da ogni peccato significherebbe che sarebbe esclusa dalla sorte comune di tutti gli uomini. La risposta dei cattolici è semplice: anch’essa non è per natura sua libera, ma è perfettamente liberata da Cristo. Qualcuno chiese scherzosamente: “Sapete che differenza passa fra i libri di morale e il Nuovo Testamento?”. Siccome nessuno rispondeva, lo fece lui: “Quando leggiamo i libri di morale vi troviamo bei consigli su come non cadere nel peccato. Il Nuovo Testamento, al contrario, ci insegna continuamente come fare per uscire dal peccato nel quale siamo caduti”. La predicazione di san Giovanni Battista si riallaccia alla predicazione dei profeti. Il mondo è pieno di malizia. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo fatto. È il peso del nostro passato. Quale colpa hanno gli uomini di oggi? Gesú distinse due tipi: gli uni amano le tenebre (cf Gv 1,5ss), sono sepolcri esternamente imbiancati, guide cieche. Gli altri sono deboli: Zaccheo, Maddalena, il pubblicano, il samaritano…, vorrebbero liberarsi ma non ne hanno la forza. Perciò la ricevono all’improvviso da Dio ed escono fuori dalle tenebre del peccato.
San Paolo descrive questa situazione in modo drammatico. Egli vede il male in tutto il mondo, negli ebrei e nei non-ebrei, ma soprattutto lo vede in se stesso. Vede il suo passato, come si opponeva a Cristo e al suo messaggio. Ma fu illuminato e purificato. Questo lo conduce all’entusiasmo espresso in una frase capitale: “Non sono piú io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Ma ad un tratto scopre con timore che non è ancora del tutto con Cristo, che in lui ci sono ancora resti del peccato. Il settimo capitolo della Lettera ai Romani descrive questa situazione drammatica: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio… Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore!” (Rm 7,18-19.24-25).
Non si può descrivere meglio la vera situazione dei cristiani! Maria fu pienamente liberata. Noi siamo liberati quotidianamente e questo è sorgente di una consolante speranza.


IL VANGELO di tutto l’anno sono le riflessioni sul Vangelo festivo e feriale tratte dall’omonimo libro di padre Tomáš Špidlík.

[IL VANGELO DI TUTTO L'ANNO] XXVII TEMPO ORDINARIO – Domenica (A) 4 Il libro è disponibile presso EDIZIONI LIPA