Si racconta che una volta Gandhi sia stato invitato ad un ricevimento solenne, ma che non volessero farlo entrare perché non aveva la marsina. Ritornò a casa e inviò al ricevimento un pacco con la marsina: “Qui avete ciò che desideravate!”. Il rigore negli abiti una volta era molto severo. Oggi la gente è abituata a vestirsi “casual”, e questo è segno di una certa mentalità. Gli psicologi notano che nei vestiti non si manifesta l’uomo tale e quale è, ma come desidera apparire o come lo vogliono vedere gli altri. Un poliziotto, ad esempio, vorrebbe vestirsi in borghese, ma lo stato gli prescrive di indossare l’uniforme, affinché si noti che è in servizio, mentre nei vestiti in borghese sarebbe uguale agli altri. In questo contesto, si potrebbe fare qualche applicazione alla parabola sull’uomo venuto al banchetto nuziale senza il vestito adatto? Secondo l’interpretazione tradizionale, il banchetto nuziale significa la comunione eucaristica e il vestito bianco la grazia santificante necessaria. È un’interpretazione molto adatta, ma l’immagine del banchetto può essere anche allargata. Può significare tutti i doni che Dio ci offre. I Padri della Chiesa applicavano la metafora anche alla creazione dell’uomo. Questi fu creato per ultimo. Dio gli aveva preparato prima una grande tavola piena di frutti e fiori e poi lo invitò a sedere.
Questa interpretazione fu usata da san Cirillo, apostolo degli slavi, quando fu inviato come messaggero ai chazari. Questi prepararono una cena in suo onore e gli chiesero da quale famiglia provenisse per assegnargli un posto accanto al re secondo il rango della sua nobiltà. San Cirillo rispose con una metafora: “Mio padre era di origine nobilissima, destinato a sedere a tavola accanto al re, ma commise un grave errore e fu esiliato. Io ora giro il mondo come un esule”. I chazari, che avevano accettato la fede ebraica, capirono che stava parlando di Adamo e delle conseguenze del suo peccato.
Presso i popoli beduini l’ospitalità è molto sviluppata. Invitare qualcuno a cena è come annoverarlo nella propria famiglia. Nella Bibbia leggiamo molti esempi a questo proposito. Non fa quindi meraviglia che l’invito al banchetto sia simbolo dell’unione con Dio. Dio non ci regala i suoi doni, come ad un mendicante alla porta che deve restare fuori, ma ci invita dentro in sua compagnia. Inoltre, bisogna sottolineare che ciò che Dio dà sono soprattutto doni spirituali. Questi esigono la disposizione interiore per essere accettati. Non si possono dare per forza a qualcuno che non apprezza ciò che riceve. Anche noi non parliamo di cose serie a chi ne ride e non ascolta. Sarebbe una perdita di tempo dare buoni consigli ad uno che reagisce facendo il contrario.
In questo contesto possiamo interpretare il simbolo della veste nuziale come la buona volontà di ricevere ciò che Dio ci offre. La morale parla della disposizione interna necessaria e utile per ricevere i sacramenti. Il vescovo metterebbe inutilmente le mani sulla testa del seminarista che non avesse l’intenzione di ricevere il sacerdozio. L’ordinazione sarebbe invalida. Chi battezza un altro deve avere almeno l’intenzione di fare con questo rito ciò che fa la Chiesa. Si tratta di disposizioni minime. Dell’eucarestia dicono che una comunione fatta per bene basterebbe a farci santi, se la grazia di Dio incontrasse da parte nostra la piena disposizione. Purtroppo questa rimane imperfetta, parziale.
Ciò che dicono dell’eucarestia vale per ogni grazia che viene da Dio in tante diverse forme e in tante differenti occasioni. Qui possiamo ricordare una poesia di un poeta ceco dal titolo “È venuto l’amore”. Il poeta personifica l’amore con una persona viva che ogni tanto bussa alla sua porta. Ma riceve sempre una risposta scortese: “Vieni piú tardi!”. Passano gli anni e il poeta stesso esce dalla sua stanza chiusa e questa volta bussa lui alla porta dell’amore. Riceve però un’amara risposta: “Sei arrivato tardi!”. È una bella immagine della grazia che da Dio viene a noi come espressione dell’amore divino.
Fra i santi che avvertivano questo vivamente nella propria vita possiamo nominare sant’Ignazio di Loyola. La sua prima conversione fu molto radicale. La buona volontà era quasi eccessiva. Eppure restavano molte questioni irrisolte. Gli altri santi, di solito, sapevano già dall’inizio quello che dovevano fare. A Don Bosco pareva chiaro che doveva occuparsi dei giovani. San Giovanni di Dio non faceva altro che assistere i malati. Invece sant’Ignazio e i suoi compagni esitarono a lungo, facevano progetti che poi fallivano sempre. Alla fine si misero a disposizione del papa affinché assegnasse loro un lavoro al quale dedicarsi. Quale fosse questo lavoro in futuro, lo ignoravano. Questa situazione ebbe una grande influenza sulla spiritualità ignaziana. L’uomo non dovrebbe legarsi infallibilmente a nessuna cosa concreta del mondo, ma essere continuamente disposto a fare quel bene che gli si offre.
Le vocazioni, evidentemente, sono varie e differenti sono i caratteri degli uomini. Lodiamo quelli che sanno programmare bene il loro lavoro e assicurare la realizzazione dei piani prefissati. Ma ogni giorno ci convinciamo che i nostri piani possono essere illusori. La società democratica è impensabile senza programmazione. Ma ben pochi di questi programmi diventano realtà. Un’economia troppo programmata finisce quasi sempre in bancarotta. Al contrario, serve una buona ispirazione venuta al momento giusto. Ecco un esempio banale: un commerciante di vestiti a Londra era sempre sul punto di fallire. La moda cambia velocemente e i vestiti diventano presto antiquati e non si vendono piú. In concreto gli rimanevano molte casacche. Triste, uscí per passeggiare sulla strada, dove incontrò alcuni teddy-boys che portavano delle casacche con un piccolo campanello sotto il collo. Un’idea si fece strada fulminea nel suo cervello. Corse in tutti i negozi che vendevano la roba di Natale e acquistò tutti i campanellini che trovò. Per tutta la notte attaccò campanelli alle casacche rimaste invendute e il giorno seguente le presentò nei luoghi dove si riunivano i capelloni. Furono tutte vendute ad un prezzo superiore al loro valore. “Nel commercio”, disse piú tardi, “dobbiamo essere sempre disposti ad approfittare di ciò che ci si presenta”.
In modo figurato la vita spirituale assomiglia al commercio. Il cristiano è, secondo la parabola del vangelo, il mercante che cerca la perla preziosa e vende tutto per comprarla (cf Mt 13,45-46). Con essa entra nel regno dei cieli. Le occasioni al bene che Dio ci offre al banchetto della sua grazia sono queste perle che non devono cadere nel fango per mancanza di una buona disposizione da parte nostra.
IL VANGELO di tutto l’anno sono le riflessioni sul Vangelo festivo e feriale tratte dall’omonimo libro di padre Tomáš Špidlík.
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