Approfondimento delle letture della liturgia
Profundización de las lecturas de la liturgia
Poglobitev Božje besede
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51).
Questo pane non è la manna nel deserto che il popolo ha accolto come dono dal cielo, quel pane di cui è scritto: “È il pane che il Signore vi ha dato in cibo”(Es 16,15).
Infatti, benché mangiassero di questo pane, morivano (Gv 6,58).
Cristo dice di essere lui il pane vivo che dà la vita e che questo pane è la sua carne (cf Gv 6,51).
Come si capisce la parola “carne” in Giovanni?
La carne indica l’uomo nella sua condizione reale, cioè la sua condizione precaria. La carne è la condizione umana nella sua precarietà.
“Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14): è una parola che dice che il Verbo si fece uomo in tutta la sua realtà.
L’affermazione di Cristo che la sua carne è il cibo per la vita del mondo è del tutto consequenziale al fatto che “il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Ma tale affermazione è davvero dura per gli orecchi dei giudei, che erano abituati a considerare Dio “al di là”, irraggiungibile, che non lo si può vedere e rimanere vivi (cf Es 33,20).
Dio quindi è separato dagli altri. Ma ora Cristo, che dichiara di essere Figlio di Dio e di avere in sé la vita come il Padre (cf Gv 5,26), dice di essere offerto come cibo da mangiare, anzi da ruminare con i denti, come suggerisce la parola greca.
Ma questo è in pieno contrasto con la visione di un Dio che non ha paragoni, che è al di là di tutto, perfetto e invisibile.
Qui si apre uno squarcio sulla nostra situazione culturale. Da molti secoli abbiamo abbandonato il simbolo come luogo della manifestazione di un Dio personale, che ti coinvolge e si fa conoscere relazionandosi con te, chiamandoti per nome. Basta pensare al Roveto ardente (cf Es 3), con il coinvolgimento addirittura delle realtà del creato e degli eventi della storia.
Da molti secoli abbiamo abbandonato questo modo di ragionare, di vedere, di comprendere, di conoscere e ci siamo lasciati affascinare dalla metafisica, arrivando poi ad accettare la separazione del noumeno dal fenomeno.
Pavel Florenskij dice che questo ci ha mutilato, ci ha impoverito in modo drastico, ci ha isolato e chiuso “nel mondo di qua” e ha allontanato come un’astrazione inutile “l’al di là”. Di conseguenza, ci sono inevitabili ripercussioni sulla liturgia, la teologia, la vita spirituale, tanto più quella pastorale. Tutto si frantuma e ogni cosa sta per conto suo. Si può comporre un sistema, ma non si coglie l’organismo, l’unione organica tra queste realtà.
Invece, Cristo dice con chiarezza che lui è la porta, il pane. “Io sono la porta” (Gv 10,7), “Io sono il pane” (Gv 6, 51) e che il suo modo di vivere l’umanità lo rende cibo, la sua carne è il cibo, in modo che noi possiamo partecipare a questo modo di vivere l’umanità.
Cristo dice che praticamente il suo modo di vivere l’umanità, la sua condizione umana, la sua carne è veramente il nutrimento, il cibo che ci rende partecipi, ci rende familiari, realizza una specie di travaso della sua vita in noi.
Non esiste Cristo senza il suo corpo, senza la sua umanità, cioè senza il suo modo di essere, la sua carne.
Non c’è infatti il dono dello Spirito Santo se non quando scende nella carne, sull’umanità, nella sua reale condizione, altrimenti non serve e non viene dato. Il dono dello Spirito Santo scende sulla reale condizione dell’umanità. Non esiste nessun dono di Dio se non si rende presente nella condizione umana, nella carne, cioè nell’umanità.
Persino la creazione viene trasfigurata attraverso la manifestazione dei figli di Dio (cf Rm 8,21).
Allora in questo modo tutto viene trasfigurato nel modo in cui Cristo vive la sua condizione umana.
È inutile che noi ci sforziamo di migliorare la nostra condizione umana. La storia ci insegna dove si arriva.
In Cristo, Dio Padre si esprime e si manifesta, e noi possiamo cogliere, percepire la sua gloria, non da lontano, ma partecipando ad essa, mangiandola, in modo che in noi scorra la stessa vita, che si realizza facendoci vivere la nostra condizione umana con la sua vita e nella sua vita, cioè in lui, “in Cristo” e “Cristo in noi”.
Cristo non è semplicemente la piena realizzazione dell’uomo, ma si offre come cibo, in modo che noi veniamo nutriti con la piena realizzazione della sua umanità.
Un Dio lontano, un essere assoluto, che ci ha dato una legge per indicarci come vivere e ci propone nel Figlio un modello da imitare, non è secondo il nostro Dio Padre, perché la legge non conferisce la vita, non dona la vita (cf Gal 3,21).
Il nostro Dio infatti è il donatore della vita. Lo Spirito Santo è il Signore che dà la vita.
Questo cibo che è la carne del Figlio di Dio, e la bevanda che è il suo sangue, ci nutrono come il suo corpo vivente.
Qui c’è un altro passaggio molto importante. C’è infatti una bella differenza tra la carne e il corpo.
Paolo dice: “Ora voi siete corpo di Cristo” (1Cor 12,27).
La modalità di vivere per realizzare la condizione umana è quella di essere corpo. La condizione umana è portata alla sua piena realizzazione come corpo. “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo” (1Cor 12,12).
Il corpo è il modo comunionale di vivere l’umanità, la vita che lui ci dà attraverso il farsi cibo, è il modo di vivere secondo Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè secondo la comunione delle persone.
Ma anche qui si sente il peso della cultura degli ultimi secoli, che è tutta individuocentrica, e che oggi sembra quasi all’epilogo.
Paolo lo predice: “E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra” (1Cor 12,14).
Infatti, talvolta basta entrare in qualche casa religiosa e trovare solo le immagini dei santi di quell’Ordine o di quella Congregazione, senza che ci siano altri santi.
Si sente affermare la volontà che religiosi di diverse congregazioni realizzino insieme un’opera, esprimendo e manifestando così il loro essere corpo. Ma è anche facilmente constatabile che è abbastanza difficile vederlo realizzato.
Del resto, se uno percepisce se stesso come autosufficiente o come il migliore, il più preparato, con un carisma speciale, difficilmente manifesterà ciò che Cristo vuole dire con le parole riferite al suo corpo.
Dice infatti Paolo: “Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?” (1Cor 12, 17).
E ancora: “Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo?” (1Cor 12,19).
Ciò che oggi è palese, davanti agli occhi di tutti, anche davanti al mondo intero, è proprio che sono rare i contesti che manifestano il corpo, cioè la comunione delle persone.
È difficile trovare una visione dell’insieme come libera adesione nell’amore. Molti vorrebbero emergere attraverso le opere, le strutture, le istituzioni, che però non manifestano il corpo.
Spesso le persone vengono messe nelle strutture in funzione delle strutture e delle opere. Così appare in primo piano una struttura dove si possono sentire facilmente idee elevate, valori grandi, programmi e progetti dettagliati, ma che non sono “cibo”. Manca il cibo.
Non si riesce a percepire queste cose come testimonianza viva, organica, di essere corpo, perché nutriti dalla comunione, che è la vita di Dio. Questo non è facile percepirlo. Non è facile che tali strutture manifestino la testimonianza di un Dio trino, e che a sua volta la Chiesa sia nel mondo per la vita del mondo, cioè non solo per insegnare, spiegare e organizzare, ma perché si dà come cibo che travasa la vita nel mondo.
C’è una parola che è la linea di demarcazione, un vero e proprio discernimento tra ciò che è vivo e ciò che finge di esserlo, ed è questa: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,17).
SEMI è la rubrica del Centro Aletti disponibile ogni venerdì.
Ogni settimana, oltre all’omelia della domenica in formato audio, sarà disponibile sul sito LIPA un approfondimento delle letture della liturgia eucaristica domenicale o festiva.
«Yo soy el pan vivo bajado del cielo. El que coma de este pan vivirá eternamente, y el pan que yo daré es mi carne para la Vida del mundo». (Jn 6,51)
Este pan del que habla Jesús no es el maná del desierto que el Pueblo recibió como un don del cielo. No es el pan del que está escrito: «Este es el pan que el Señor les ha dado como alimento» (Ex 16,15). De hecho, el Pueblo de Dios se alimentaba de ese pan, pero luego todos morían (Cf. Jn 6,58).
Cristo dice que Él mismo es el pan vivo que da la Vida y que este pan es su propia carne (Cf. Jn 6,51).
¿Cómo entiende Juan el concepto de “carne”? La carne indica el hombre en su condición más cruda, real, es decir, en su condición de precariedad. La carne es la condición humana en su precariedad.
«Y la Palabra se hizo carne» (Jn 1,14): es decir, el Verbo se hizo carne, se hizo hombre con todo lo que esto implica, en toda su crudeza y realidad. La afirmación de Cristo de que su carne es alimento para la vida del mundo tiene su fundamento más profundo en las palabras de Juan, «el Verbo se hizo carne» (Jn 1,14). Pero se trata de algo difícil de digerir para los judíos que escuchan esta palabra. Ellos estaban acostumbrados a pensar en Dios como algo “trascendente”, más allá de una realidad concreta y encarnada. Dios era para los judíos una realidad inalcanzable, a tal punto que no se lo podía ver y continuar con vida (Cf Ex 33,20).
Dios era una realidad separada a nosotros. Sin embargo, Cristo, que dice ser el Hijo de Dios y de poseer en él la misma vida del Padre (Cf. Jn 5,26), se presenta como alimento para ser comido, rumiado con los dientes, como sugiere el verdadero significado de la palabra griega. El contraste es grande. La visión de un Dios perfecto e invisible tiene poco que ver con lo que afirma Jesús.
Sobre este aspecto se abre una consideración importante que tiene que ver con nuestra situación cultural. Desde hace muchos años hemos abandonado el símbolo como el lugar de la manifestación de un Dios personal; un Dios que te conoce y se da a conocer en la relación con cada uno de nosotros, llamándonos por nombre. Así sucedió a Moisés cuando se encontró con Dios en la zarza ardiente (Cf. Ex 3), donde toda la creación y la historia se vieron implicadas en la epifanía y la manifestación de Dios mismo.
Desde hace siglos que hemos abandonado este modo de pensar, de mirar, de comprender y de conocer, y nos hemos dejado seducir por la metafísica, llegando a aceptar, sin ningún problema, la separación entre el fenómeno y el noúmeno.
Pavel Florenskij dice que esto nos ha empobrecido radicalmente, nos ha aislado y nos ha hecho permanecer encerrados en esta “dimensión”. Ha hecho que se alejara, como una abstracción inútil, el “más allá”. Inevitablemente, esto tiene sus efectos en el modo de considerar la Liturgia, la Teología, la vida espiritual, y sobre todo la vida pastoral. Todo se divide. Cada cosa por su lado, sin conexión, sin relación. Se puede crear un “sistema”, pero no se alcanza a ver el “organismo”, la unión entre todas las cosas, la unión “orgánica” entre estas realidades.
Cristo dice claramente: yo soy la Puerta; yo soy el Pan. «Yo soy la puerta de las ovejas» (Jn 10,7). «Yo soy el pan vivo bajado del cielo» (Jn 6,51). El modo de vivir la humanidad hace de Cristo un alimento; su carne es alimento para que nosotros podamos participar de su modo de vivir la humanidad.
Prácticamente, Jesús lo que dice es que su modo de vivir la humanidad, su condición humana, su carne, es alimento verdadero, alimento que nos hace partícipes, nos hace ser familiares, hace posible que su vida sea derramada en nuestra propia vida.
No existe Cristo sin su cuerpo, sin la humanidad, es decir, sin su modo de ser, su carne. El Espírito como un don desciende en la condición humana real. No existe, de hecho, ningún don que venga de Dios si no se hace presente en la condición humana, en la carne, en la humanidad. Hasta la creación misma es transfigurada y «será liberada de la esclavitud de la corrupción para participar de la gloriosa libertad de los hijos de Dios» (Rom 8,21). De este modo todo viene transfigurado según el modo como Cristo vive su condición humana. Es inútil que nosotros nos esforcemos por mejorarla; la historia nos enseña donde se llega con este modo de pensar.
En Cristo, Dios Padre se expresa, se manifiesta. Nosotros podemos experimentar su gloria, no de lejos, sino más bien participando de ella, “comiéndola”, de modo que en nosotros fluye la misma vida de Dios. Transmitiéndonos su vida y haciéndonosla vivir en nuestra condición humana, así es como participamos a la gloria de Dios. “En Cristo” y “Cristo en nosotros”.
Cristo no es solamente la plenitud de la humanidad. Él se manifiesta y se realiza además como alimento, de modo que nosotros podamos nutrirnos con la plena realización de su humanidad.
Un Dios lejano, un Ser Absoluto que nos ha dejado solamente una Ley y un Hijo a quien imitar, no es la imagen de un Dios-Padre. La ley no puede dar la vida, como dice Pablo (cf. Gal 3,21). Nuestro Dios es el donador, el dador de la vida. El Espíritu Santo es el Señor que da la vida.
El alimento, el pan, que es la carne de Cristo, y la bebida, que es su sangre, nos nutren al modo de un cuerpo viviente. Esta es una afirmación fundamental, porque, siguiendo a Pablo, debemos tener en cuenta que carne y cuerpo no son lo mismo. Pablo dice: «Ustedes son el Cuerpo de Cristo, y cada uno en particular, miembros de ese Cuerpo» (1Cor 12,27). El modo de vivir para poder realizar plenamente la condición humana es ser cuerpo. La condición humana se realiza en plenitud cuando vive como cuerpo. «Así como el cuerpo tiene muchos miembros, y sin embargo, es uno, y estos miembros, a pesar de ser muchos, no forman sino un solo cuerpo, así también sucede con Cristo» (1Cor 12,12).
El cuerpo es el modo “comunional” de vivir la humanidad. La vida que Dios nos da, haciéndose alimento, convirtiéndose en pan para nosotros, es una vida trinitaria, la vida del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo. Es decir, una vida según la comunión de las Personas. Sobre este punto se siente también el peso de una cultura que vive solo individualmente y que, en este tiempo, está llegando a su epílogo.
Pablo dice a los Corintios: «El cuerpo no se compone de un solo miembro sino de muchos» (1Cor 12,14). Muchas veces nos sucede de entrar en las casas religiosas y encontrar solamente imágenes de los santos de esa orden o congregación. No hay otros. Se escucha el deseo de tantas familias religiosas de compartir la misión con miembros de distintas congregaciones, manifestando la voluntad de ser cuerpo. Sin embargo, se constata que es muy difícil verlo realizado. Y si además de esto uno se concibe como autosuficiente o como el mejor en su campo, el más preparado o competente, con un carisma especial…difícilmente podrá manifestar lo que Cristo dice respecto al modo de ser cuerpo y de vivir como cuerpo.
Pablo insiste: «Si todo el cuerpo fuera ojo, ¿dónde estaría el oído? Y si todo fuera oído, ¿dónde estaría el olfato?» (1Cor 12,17). «Si todos fueran un solo miembro, ¿dónde estaría el cuerpo?» (1Cor 12,19).
En el día de hoy es evidente que son pocas las realidades y contextos que manifiestan un modo de vida como cuerpo, es decir, como comunión de las personas.
Es difícil encontrar una visión conjunta, libremente aceptada por todos a motivo del amor. Muchos, en cambio, quieren hacerse ver a través de sus obras, de las estructuras, de las instituciones a las que pertenecen, pero en realidad no manifiestan ningún sentido de cuerpo. Cuantas veces las personas vienen destinadas a las “estructuras” en función mismo de las estructuras y de las “obras”, para poder sostenerlas. Es así como lo que primero se ve en nuestra Iglesia son las estructuras, donde las ideas y los valores son altos y nobiles, los programas y los proyectos pastorales extremadamente detallados, pero que no son “alimento”, no son “pan”. Falta el pan.
No somos capaces de hacer ver en nuestras realidades un testimonio viva, unido, orgánico, capaz de hacer ver que somos cuerpo, nutridos de la comunión del mismo pan, que es la vida que Dios mismo nos da.
No es fácil percibir este aspecto que vive nuestra Iglesia hoy. No es fácil que tales estructuras manifiesten un Dios trino. No es fácil que la Iglesia sea hoy en el mundo, “para la vida del mundo”, es decir, no solo para enseñar, explicar y organizar, sino además para ser alimento, para darse como alimento que hace pasar la vida de Dios en el mundo.
La palabra que resuena hoy como criterio di discernimiento, para distinguir entre lo que realmente tiene vida y aquello que finge de tenerla, es la que el mismo Pablo nos dirige: «Ya que hay un solo pan, todos nosotros, aunque somos muchos, formamos un solo Cuerpo, porque participamos de ese único pan» (1Cor 10,17).
SEMILLAS es una publicación del Centro Aletti disponible todos los viernes. Cada semana, además del audio de la homilía dominical, estará disponible en el sitio de LIPA un comentario a las lecturas de la Liturgia del Domingo, como así también a las lecturas de la semana.
»Jaz sem živi kruh, ki sem prišel iz nebes. Če kdo jé od tega kruha, bo živel vekomaj. Kruh pa, ki ga bom dal jaz, je moje meso za življenje sveta« (Jn 6,51).
Ta kruh ni mana v puščavi, ki jo je ljudstvo sprejelo kot dar nebes, kot kruh, o katerem je zapisano: »To je kruh, ki vam ga Gospod daje jesti« (2 Mz 16,15).
Čeprav so namreč jedli ta kruh, so umrli (Jn 6,58).
Kristus pravi, da je on živi kruh, ki daje življenje in da je ta kruh njegovo meso (prim. Jn 6,51).
Kako pri Janezu razumemo besedo »meso«?
Meso označuje človeka v njegovem resničnem stanju, to je v njegovem minljivem stanju. Meso je stanje človeka v njegovi minljivosti.
»Beseda je postala meso« (Jn 1,14): ta izraz pove, da je Beseda postala človek v vsej njegovi stvarnosti.
Kristusova izjava, da je njegovo telo hrana za življenje sveta, izhaja iz dejstva, da je »Beseda postala meso« (Jn 1,14). Vendar so to resnično trde besede za ušesa Judov, ki so bili navajeni, da je Bog »onkraj«, nedosegljiv, da ga človek ne more videti in ostati živ (prim. 2 Mz 33,20).
Bog je torej ločen od drugih. Zdaj pa Kristus izjavi, da je Božji Sin in da ima v sebi isto življenje kot Oče (prim. Jn 5,26) ter reče, da se daruje kot hrana, ki naj bi jo jedli, ali še bolje, »žvečili«, kot nakaže uporabljena grška beseda.
To pa je v polnem nasprotju z vizijo Boga, ki nima primerjave, ki je nad vsem, popoln, neviden.
Tu se odpre pogled na našo kulturno situacijo. Že pred več stoletji smo opustili simbol kot kraj razodetja osebnega Boga, ki te vključi in se ti da spoznati, ko vstopa v odnos s teboj, ko te kliče po imenu. Dovolj je pomisliti na goreči grm (prim. 2 Mz 3), kjer Bog vključi celó stvarstvo in dogodke zgodovine.
Že pred več stoletji smo opustili ta način razmišljanja, gledanja, razumevanja, spoznavanja in dopustili, da nas je pritegnila metafizika. Prišli smo tako daleč, da smo sprejeli ločitev med bistvom in pojavom.
Pavel Florenski pravi, da nas je to pohabilo, močno osiromašilo, osamilo in zaprlo »v tukajšnji svet« ter zavrglo »onostranstvo« kot nepotrebno abstraktnost. Posledično se to neizogibno odraža v liturgiji, teologiji, duhovnem življenju, predvsem pa v pastorali. Vse se drobi in vsaka stvar stoji zase. Človek lahko vzpostavi sistem, ne dojema pa organizma, organske povezanosti med temi stvarnostmi.
Kristus pa jasno pove, da je on vrata, kruh. »Jaz sem vrata« (Jn 10,7), »Jaz sem kruh« (Jn 6,51). Jasno pove, da ga njegov način človeškosti naredi za hrano, da je njegovo meso hrana, da smo tako lahko tudi mi udeleženi pri tem načinu življenja človeškosti.
Kristus pove, da je njegov način življenja človeškosti, njegovo človeško stanje, njegovo meso resnična jed, hrana, ki nas soudeleži, stori domače, ki uresniči nekakšno izlitje njegovega življenja v nas.
Kristusa ni brez njegovega telesa, brez njegove človeškosti, se pravi brez njegovega načina bivanja, brez njegovega mesa.
O daru Svetega Duha lahko namreč govorimo samo, ko se spusti v meso, v človeškost, v njegovo resnično stanje, sicer ničemur ne služi in ni dan. Dar Svetega Duha se spusti v realno stanje človeškosti. Nobenega Božjega daru ni, če ne postane navzoč v človeškem stanju, v mesu, se pravi v človeškosti.
Celó stvarstvo je spremenjeno po razodetju Božjih sinov (prim. Rim 8,21).
Tako je vse spremenjeno v način, kako Kristus živi svoje človeško stanje.
Zaman se trudimo, da bi izboljšali svoje človeško stanje. Zgodovina nas uči, kam to pripelje.
V Kristusu se Bog Oče izraža in razodeva, mi pa lahko dojamemo, zaznamo njegovo slavo, vendar ne od daleč, ampak tako, da smo udeleženi pri njej, da jo jemo, da bi v nas teklo isto življenje, ki se uresničuje tako, da nam daje živeti svojo človeškost z njegovim življenjem in v njegovem življenju, se pravi v njem, »v Kristusu« in »Kristus v nas«.
Kristus ni le polno uresničenje človeka, ampak se daje kot hrana, tako, da smo nahranjeni s polnim uresničenjem njegove človeškosti.
Oddaljeni Bog, popolno bitje, ki nam je dalo postavo, da bi nam pokazalo, kako naj živimo, in ki nam v Sinu nudi model, ki naj ga posnemamo, ni v skladu z našim Bogom Očetom, kajti postava ne nudi življenja, ne daje življenja (prim. Gal 3,21).
Naš Bog je namreč darovalec življenja. Sveti Duh je Gospod, ki daje življenje.
Hrana, ki je meso Božjega Sina, in pijača, ki je njegova kri, nas hranita kot njegovo živo telo.
Tu gre še za en zelo pomemben prehod. Med mesom in telesom je namreč velika razlika. Pavel pravi: »Vi pa ste Kristusovo telo« (1 Kor 12,27).
Človeškost lahko uresničimo tako, da postanemo telo. To, kar je človek, se v polnosti uresniči kot telo. »Kakor je namreč telo eno in ima veliko delov, vsi telesni deli pa so eno telo, čeprav jih je veliko, tako je tudi Kristus« (1 Kor 12,12).
Telo je občestven način življenja človeškosti. Življenje, ki nam ga on podarja s tem, da se nam daje v hrano, je njegov način življenja kot Bog Oče, Sin in Sveti Duh, se pravi kot občestvo oseb. Vendar se tudi tu čuti teža kulture zadnjih stoletij, ki je kultura vase zaverovanega človeka in za katero se zdi, da je danes že skoraj pri kraju.
Pavel to napoveduje: »Tudi telo namreč ni sestavljeno iz enega telesnega dela, ampak iz več delov« (1 Kor 12,14).
Včasih je namreč dovolj vstopiti v kakšno redovno hišo in tam najdemo samo podobe svetnikov tistega reda ali tiste redovne družbe in nobenega drugega svetnika.
Zaznati je voljo, da bi redovniki različnih redovnih družb skupaj izvedli neko dejavnost ter tako izrazili in razodeli, da so telo. A hitro vidimo, da je tudi to precej težko uresničiti.
Navsezadnje, če se ima človek za samozadostnega ali za najboljšega, za najbolj usposobljenega, s posebno karizmo, bo težko razodeval to, kar želi Kristus povedati z besedami, ki se nanašajo na njegovo telo.
Pavel namreč pravi: »Kje bi bil sluh, ko bi bilo vse telo oko? Kje bi bil vonj, ko bi bilo vse telo sluh?« (1 Kor 12,17).
In še: »Ko bi bilo vse skupaj en sam telesni del, kje bi bilo telo?« (1 Kor 12,19).
Danes je pred očmi vseh, celo pred celotnim svetom, očitno, da je malo krajev, ki razodevajo telo, se pravi občestvo oseb.
Težko je najti celosten pogled na življenje v smislu svobodne pripadnosti v ljubezni. Mnogi bi se radi pokazali preko dejavnosti, struktur, institucij, ki pa ne razodevajo telesa.
Pogosto so ljudje postavljeni v strukture z namenom, da bi se ohranile in delovale. Tako stopi v ospredje struktura, slišijo se visoke ideje, velike vrednote, imajo podrobno izdelane programe in načrte, vendar niso »hrana«. Manjka hrana.
Delovanja struktur ne uspemo zaznati kot živo, organsko pričevanje, ne zaznamo jih kot telo, ki se hrani z občestvom, ki je Božje življenje. Tega ni lahko zaznati. Take strukture ne kažejo zlahka pričevanja troedinega Boga, in da je Cerkev na svetu za življenje sveta, se pravi da ni samo za učenje, razlaganje in organiziranje, ampak se da v hrano, ki svetu vliva življenje.
Zaključimo s svetopisemskim stavkom, ki je ločnica, pravo in resnično razločevanje med tem, kar je živo in kar se pretvarja, da je živo: »Ker je en kruh, smo mi, ki nas je veliko, eno telo, ker smo vsi deležni enega kruha« (1 Kor 10,17).
SEMENA je rubrika centra Aletti, ki je na voljo vsako soboto (v italijanščini že v petek). Vsak teden bo na spletni strani LIPE poleg nedeljske homilije v zvočni obliki (v italijanščini) na voljo tudi poglobitev Božje besede nedeljske ali praznične svete maše.