Approfondimento delle letture della liturgia
Profundización de las lecturas de la liturgia
Poglobitev Božje besede
“Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi” (Rm 8,9).
Fratelli, voi non siete nella carne (en sarki), ma nello Spirito (en pneumati), visto che (dal momento che, se è vero che, dato che) lo Spirito di Dio abita in voi.
È importante cogliere la forza della formulazione linguistica con cui Paolo si esprime, perché fa vedere il nostro fondamento, la base della nostra esistenza, che è lo Spirito di Dio che abita in noi.
Dato che questo è così, dal momento che è così, voi non siete nella carne.
Si tratta di una abitazione. Chi abita nell’uomo? Dove abita l’uomo? Dov’è la sua dimora? Dove si sente veramente a casa?
Paolo dice: “il peccato che abita in me” (Rm 7,17). Se il peccato è l’inquilino dell’uomo, allora la sua volontà è assolutamente corrotta ed è orientata a sé stesso, è autocentrata.
Questo è ciò che il tentatore è riuscito a fare già con i progenitori, cioè desiderare per sé affinché si diventi da soli ciò si vuole (cf Gen 3). Questo significa che la volontà non può compiere ciò che vorrebbe. Infatti, Paolo dice: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto” (Rm 7,15). Ciò significa che il peccato ha portato uno scisma tra la volontà e la ragione. Paolo infatti non riesce a capire, e questa è una questione dell’intelligenza, della ragione, perché sta facendo ciò che detesta, anziché ciò che vuole.
È uno scisma molto forte tra la ragione e la volontà. Anzi, si tratta di qualcosa di ancora più sottile: dentro la ragione e dentro la volontà.
Anche se la ragione conosce il bene che va fatto – dal momento che anche la legge lo prescrive –, viene sconfessata dalla volontà, che ormai è orientata a noi stessi e dunque non può compiere il bene, che è l’amore e non è separabile dalla persona di Dio.
Questo è importante.
La volontà vorrebbe fare del bene, ma, se è orientata a sé stessa, non farà il vero bene, che è l’amore. E l’amore non è separabile dalla persona di Dio, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8).
E dunque, solo in quanto siamo con Dio si realizza il bene. Ma essere con Dio richiede di essere liberi da una volontà attaccata a noi stessi. Altrimenti siamo assolutamente soggetti alla nostra volontà.
Siccome questa volontà abita nella natura, noi cominciamo a servire la natura nei suoi bisogni, che a sua volta dovrebbero affermare e realizzare alla grande il proprio io.
Invece ci è chiesto di esporsi al contenuto della volontà di Dio, che va percepita come amore.
La volontà di Dio è amore e solo se è percepita come amore, personalmente orientata ad ognuno, allora possiamo esporre noi stessi alla volontà di Dio, in modo che lui riempia la nostra volontà del contenuto della sua: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
La Vergine di Nazaret è l’immagine biblica più straordinaria del compimento della volontà di Dio. “Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36), dirà Gesù nella preghiera del Getsemani.
E questa volontà è un disegno d’amore, non una dittatura, un peso schiacciante.
Anche se Cristo stesso chiede: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!” (Mt 26,39), però da Figlio coglie che questa volontà è un disegno d’amore, come poi Paolo preciserà (cf Ef 1,5).
Per osservare la volontà del Padre bisogna essere mossi dall’amore, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8). E, se non siamo mossi dall’amore, non serve fare la volontà di Dio, perché Dio non vuole schiavi, ma figli. Dio ha mandato il suo Figlio, perché noi potessimo diventare figli. Infatti, si può compiere la sua volontà solo da parenti (cf Gv 14,21). Gesù dirà: “Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50).
Compiendo la volontà di Dio, lasciando che la nostra volontà si riempia del contenuto di quella di Dio, si diventa parenti di Cristo, cioè del Padre nei cieli.
Il contenuto della volontà del Padre ci unisce in Cristo come parenti. Da tutto questo segue che è molto superficiale pensare che bisogna far capire la dottrina, le idee e poi premere sulla volontà, perché le realizzi. Questo è un grave errore spirituale, è una falsificazione molto pesante del cammino nello Spirito.
Questo modo di fare è un’ottima via per finire in psichiatria, o in un angolo di qualche struttura ecclesiale, che, come dice qualcuno, sa di morte, perché è un angolo dell’orgoglio e dei meritevoli.
Bisogna accettare una realtà spirituale, perché il pensiero è assolutamente soggetto della volontà, quando si tratta di assumerla, di realizzarla.
È totalmente diverso – come dice Solov’ëv – che noi offriamo la nostra volontà a Dio, affinché lui possa riempirla del suo contenuto.
Altrimenti anche se noi vogliamo fare la volontà di Dio, non ci rendiamo conto che il nostro pensiero è assolutamente soggetto alla nostra volontà quando si tratta di compierla, di realizzarla. Almeno il modo di fare la volontà sarà il mio modo individuale, distinto da tutti.
Come diceva già Basilio il Grande, il contenuto della volontà di Dio è l’amore, perché Dio non può volere se non ciò che lui è, perché è tutto ed è amore, perciò la sua volontà ha come contenuto l’amore stesso di Dio.
Ma l’offerta della nostra volontà a Dio, attraverso la quale lui versa dentro il suo contenuto, cioè l’amore, cioè sé stesso, è ovvio che avviene come un vero nutrimento della nostra volontà e dunque anche della nostra persona, quindi come una guarigione della nostra natura umana.
Spesso si pensa che bisogna rinunciare alla propria volontà, ma questo è impossibile senza tragiche conseguenze. La volontà – come sappiamo – posa nella nostra natura umana, come anche il mangiare, al quale è ovvio che non è possibile rinunciare, se non per un tempo preciso, o per qualche cibo preciso. Così si fa spesso anche con la volontà. Si rinuncia per un po’ di tempo o per qualche settore della vita, per poi essere giustificati a realizzarla in altri settori, in altri oggetti e in altri campi e, soprattutto, a modo nostro. Infatti, quante persone incontriamo che sembrano molto generose, continuamente propongono cose da fare, magari per aiutarti, ma sempre solo ciò che è secondo la loro volontà?
Invece l’offerta della volontà è eucaristica. Offro la volontà al Padre, in Cristo, e questo diventa cibo per la vita divina nell’umanità.
“Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 4,34).
È estremamente importante, perché non si tratta di azzerare la volontà, ma di farsela riempire come il cibo per la mia esistenza, perché io possa vivere la mia umanità, la mia natura umana al modo di Cristo. Infatti Paolo, nella liturgia odierna, espone un’altra verità fondante della vita nello Spirito Santo, quando dice: “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene” (Rm 8.10).
Si tratta di un’affermazione molto forte.
Non si appartiene a Cristo con la nostra adesione, costruita in un duetto tra la ragione che mi convince e la volontà che aderisce.
Non è così, perché questa ragione e questa volontà della nostra natura sono già passate nella morte nel Battesimo, e ora sono in grado di accogliere. Si aderisce a Cristo attraverso l’accoglienza dello Spirito di Cristo, attraverso la vita di Cristo, che ci è donata e noi la accogliamo.
Lo “Spirito di Cristo” è un’espressione assolutamente nuova, usata da Paolo. Nell’Antico Testamento abbiamo “Spirito di Dio”, “Spirito del Signore”, “Spirito del Santo di Israele”. Ora abbiamo lo “Spirito di Cristo”. Lo Spirito, il soffio della vita, nell’Antico Testamento appartiene solo a Dio, mentre Paolo pian piano lo riconosce appartenente a Cristo (cf Rm 1,4; 1Cor 15,45; Fil 1,19). In questo modo sottolinea la divinità di Cristo. Cristo è veramente Dio, perché Figlio di Dio, “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15). Lui da uomo rende visibile Dio (cf Gv 1,14). Anzi, in lui ha fatto abitare tutta la pienezza della vita: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza” (Col 1,19).
Dunque, lo Spirito di Cristo è la sua vita divino-umana. Questo significa che lui estende su di noi, con il dono della sua vita, il modo in cui vivere l’umanità così come la vive il Figlio di Dio.
Lo Spirito di Dio, che in questo passaggio può già essere inteso come lo Spirito Santo, è colui che ha risuscitato Cristo dai morti e ora dopo il Battesimo, abita in noi e ci tiene innestati in Cristo. Noi in Cristo e Cristo in noi, mediante lo Spirito Santo.
Spiritualmente parlando, diventa molto importante che solo mediante lo Spirito si fanno morire le opere del corpo (cf Rm 8,13), e non con l’idealismo o con un abbellire idealizzato della nostra realtà. “Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete” (Rm 8,13).
Paolo usa la parola corpo e non carne, perché vuol fare vedere che ciò che è più immediatamente riconoscibile come destinato a morire, il corpo, perché facilmente è gestito dall’inquilino che lo abita, cioè il peccato, viene vinto solo mediante il dono che ci fa vivere il corpo al modo di Cristo.
Non si tratta di correggere la vita nel corpo per farla corrispondente a qualche nostra norma, ai nostri ideali, ai nostri perfezionamenti, perché la morte cancella tutti questi nostri idoli, propositi, sforzi, e rende tutto inutile.
“Mediante lo Spirito” (Rm 8,13) vuol dire che il nostro corpo, la nostra umanità diventa una manifestazione di Dio, del suo modo di vivere l’umanità. E questo comincia con la nostra somiglianza alla sua morte (cf Rm 6,5).
E non è grazie a qualche nostra conquista o a qualche nostro trionfo, che noi diventiamo veramente la casa di Cristo (cf Eb 3,6), la dimora, la sua abitazione e che la nostra umanità rende testimonianza di chi è lui che ci abita, da chi noi siamo abitati.
Si tratta di qualcosa di così intimo, che il nostro io partecipa al suo io, perché attraverso la morte noi ci siamo risvegliati in Cristo, dicendo con il suo io, da Figlio di Dio: “Io sono”.
SEMI è la rubrica del Centro Aletti disponibile ogni venerdì.
Ogni settimana, oltre all’omelia della domenica in formato audio, sarà disponibile sul sito LIPA un approfondimento delle letture della liturgia eucaristica domenicale o festiva.
“Pero vosotros no estáis bajo el dominio de la carne, sino del Espíritu, puesto que el Espíritu de Dios habita en vosotros” (Rom 8,9).
Hermanos, no estáis en la carne (en sarki), sino en el Espíritu (en pneumati), puesto que (ya que, si es verdad que, puesto que) el Espíritu de Dios habita en vosotros.
Es importante captar la fuerza de la formulación lingüística con la que Pablo se expresa, porque muestra nuestro fundamento, la base de nuestra existencia, que es el Espíritu de Dios que habita en nosotros.
Puesto que esto es así, puesto que esto es así, no estáis en la carne.
Es una morada. ¿Quién habita en el hombre? ¿Dónde habita el hombre? ¿Dónde está su morada? ¿Dónde se siente verdaderamente en casa?
Pablo dice: “el pecado habita en mí” (Rom 7,17). Si el pecado es el inquilino del hombre, entonces su voluntad está totalmente corrompida y centrada en sí misma.
Esto es lo que ya consiguió el tentador con los progenitores, es decir, desear para sí de modo que uno se convierta para sí en lo que quiere (cf. Gn 3). Esto significa que la voluntad no puede realizar lo que quisiera. De hecho, Pablo dice: “No puedo entender lo que hago, pues no hago lo que quiero, sino lo que detesto” (Rom 7,15). Esto significa que el pecado ha provocado un cisma entre la voluntad y la razón. Porque Pablo no puede entender, y esto es una cuestión de inteligencia, de razón, por qué hace lo que detesta en lugar de lo que quiere.
Es un cisma muy fuerte entre la razón y la voluntad. De hecho, es algo aún más sutil: dentro de la razón y dentro de la voluntad.
Aunque la razón conozca el bien que hay que hacer -puesto que la ley también lo prescribe-, es derrotada por la voluntad, que ahora está orientada hacia nosotros mismos y, por tanto, no puede hacer el bien, que es amor y no puede separarse de la persona de Dios.
Esto es importante.
A la voluntad le gustaría hacer el bien, pero si está orientada hacia sí misma, no hará el verdadero bien, que es el amor. Y el amor no es separable de la persona de Dios, porque “Dios es amor” (1 Jn 4,8).
Y, por tanto, sólo en la medida en que estamos con Dios se realiza el bien. Pero estar con Dios exige que estemos libres de una voluntad apegada a nosotros mismos. De lo contrario, estamos absolutamente sujetos a nuestra propia voluntad.
Puesto que esta voluntad habita en la naturaleza, empezamos a servir a la naturaleza en sus necesidades, lo que a su vez debería afirmar y realizar el yo en gran medida.
En cambio, se nos pide que nos expongamos al contenido de la voluntad de Dios, que debe ser percibida como amor.
La voluntad de Dios es amor, y sólo si se percibe como amor, orientado personalmente a cada uno, entonces podemos exponernos a la voluntad de Dios, para que él llene nuestra voluntad con el contenido de la suya: “Hágase en mí según tu palabra” (Lc 1,38).
La Virgen de Nazaret es la imagen bíblica más extraordinaria del cumplimiento de la voluntad de Dios. “No lo que yo quiera, sino lo que tú quieras” (Mc 14,36), dirá Jesús en la oración de Getsemaní.
Y esta voluntad es un designio de amor, no una dictadura, una carga aplastante.
Aunque Cristo mismo pida: “Padre mío, si es posible, aparta de mí este cáliz” (Mt 26,39), como Hijo comprende que esta voluntad es un designio de amor, como especificará más tarde Pablo (cf. Ef 1,5).
Para cumplir la voluntad del Padre debemos estar movidos por el amor, porque “Dios es amor” (1 Jn 4, 8). Y, si no nos mueve el amor, no tiene sentido cumplir la voluntad de Dios, porque Dios no quiere esclavos, sino hijos. Dios envió a su Hijo para que nos convirtiéramos en hijos. En efecto, sólo se puede hacer su voluntad como pariente (cf. Jn 14,21). Jesús dirá: “Porque todo el que hace la voluntad de mi Padre que está en los cielos es para mí hermano, hermana y madre” (Mt 12,50).
Haciendo la voluntad de Dios, dejando que nuestra voluntad se llene del contenido de la voluntad de Dios, nos convertimos en parientes de Cristo, es decir, del Padre que está en los cielos.
El contenido de la voluntad del Padre nos une en Cristo como parientes. De todo esto se deduce que es muy superficial pensar que hay que hacer comprender la doctrina, las ideas, y luego apretar la voluntad, para que las realice. Esto es un grave error espiritual, es una falsificación muy pesada del caminar en el Espíritu.
Esta forma de hacer las cosas es una gran manera de terminar en la psiquiatría, o en un rincón de alguna estructura eclesiástica, que, como alguien dice, sabe a muerte, porque es un rincón de orgullo y del merecimiento.
Hay que aceptar una realidad espiritual, porque el pensamiento está absolutamente sometido a la voluntad, a la hora de asumirlo, de realizarlo.
Es totalmente distinto -como dice Solov’ëv- que ofrezcamos nuestra voluntad a Dios, para que la llene de su contenido.
De lo contrario, aunque queramos hacer la voluntad de Dios, no nos damos cuenta de que nuestro pensamiento está absolutamente sujeto a nuestra voluntad cuando se trata de hacerla, de realizarla. Al menos el modo de hacer la voluntad será mi modo individual, distinto de todos.
Como ya dijo Basilio el Grande, el contenido de la voluntad de Dios es el amor, porque Dios no puede querer sino lo que él es, porque él es todo y es amor, por lo tanto su voluntad tiene como contenido el amor mismo de Dios.
Pero el ofrecimiento de nuestra voluntad a Dios, a través del cual Él vierte su contenido, es decir, el amor, es decir, a sí mismo, es evidente como un verdadero alimento de nuestra voluntad y, por tanto, también de nuestra persona, por tanto, como una curación de nuestra naturaleza humana.
A menudo se piensa que hay que renunciar a la voluntad, pero esto es imposible sin consecuencias trágicas. La voluntad -como sabemos- descansa en nuestra naturaleza humana, al igual que el comer, al que obviamente no se puede renunciar, salvo por un tiempo determinado, o por algún alimento específico. Esto también se hace a menudo con la voluntad. Renunciamos a ello por un tiempo o para algún ámbito de la vida, sólo para justificarnos en hacerlo en otros ámbitos, en otros objetos y en otros campos, y, sobre todo, a nuestra manera. De hecho, ¿con cuántas personas nos encontramos que parecen ser muy generosas, proponiendo constantemente cosas para hacer, tal vez para ayudar, pero siempre sólo lo que está de acuerdo con su voluntad?
En cambio, la ofrenda de la voluntad es eucarística. Ofrezco la voluntad al Padre, en Cristo, y ésta se convierte en alimento de la vida divina en la humanidad.
“Mi alimento es hacer la voluntad del que me ha enviado” (Jn 4,34).
Esto es sumamente importante, porque no se trata de poner a cero la voluntad, sino de tenerla llena como alimento de mi existencia, para que pueda vivir mi humanidad, mi naturaleza humana a la manera de Cristo. De hecho, Pablo, en la liturgia de hoy, expone otra verdad fundamental de la vida en el Espíritu Santo cuando dice: “Si alguno no tiene el Espíritu de Cristo, no es de él” (Rom 8,10).
Es una afirmación muy fuerte.
No se pertenece a Cristo por nuestra adhesión, construida a dúo entre la razón que me convence y la voluntad que se adhiere.
No es así, porque esta razón y voluntad de nuestra naturaleza ya han pasado a la muerte en el Bautismo, y ahora pueden adherirse. Nos adherimos a Cristo por la aceptación del Espíritu de Cristo, por la vida de Cristo, que se nos da y la aceptamos.
El “Espíritu de Cristo” es una expresión absolutamente nueva, utilizada por Pablo. En el Antiguo Testamento tenemos “Espíritu de Dios”, “Espíritu del Señor”, “Espíritu del Santo de Israel”. Ahora tenemos el “Espíritu de Cristo”. El Espíritu, aliento de vida, en el Antiguo Testamento pertenece sólo a Dios, mientras que Pablo lo reconoce poco a poco como propio de Cristo (cf. Rm 1,4; 1 Co 15,45; Flp 1,19). De este modo subraya la divinidad de Cristo. Cristo es verdaderamente Dios, porque es el Hijo de Dios, “imagen del Dios invisible” (Col 1,15). Él, como hombre, hace visible a Dios (cf. Jn 1,14). En efecto, hizo habitar en él toda la plenitud de la vida: “Porque Dios quiso que en él habitase toda la plenitud” (Col 1,19).
Por tanto, el Espíritu de Cristo es su vida divino-humana. Esto significa que nos extiende, con el don de su vida, el modo de vivir la humanidad como la vive el Hijo de Dios.
El Espíritu de Dios, que en este pasaje puede entenderse ya como el Espíritu Santo, es el que resucitó a Cristo de entre los muertos y ahora, después del Bautismo, habita en nosotros y nos mantiene injertados en Cristo. Nosotros en Cristo y Cristo en nosotros, por el Espíritu Santo.
Espiritualmente hablando, resulta muy importante que sólo por el Espíritu mueran las obras del cuerpo (cf. Rm 8,13), y no por idealismo o embellecimiento idealizado de nuestra realidad. “Pero si por el Espíritu hacéis morir las obras del cuerpo, viviréis” (Rom 8,13).
Pablo utiliza la palabra cuerpo y no carne, porque quiere mostrar que lo más inmediatamente reconocible como destinado a morir, el cuerpo, porque es fácilmente manipulado por el inquilino que lo habita, es decir, el pecado, sólo se supera mediante el don que nos hace vivir el cuerpo a la manera de Cristo.
No se trata de corregir la vida en el cuerpo para hacerla corresponder a algunas de nuestras normas, de nuestros ideales, de nuestras perfecciones, porque la muerte anula todos estos ídolos nuestros, nuestras intenciones, nuestros esfuerzos, y lo hace todo inútil.
“Por el Espíritu” (Rm 8,13) significa que nuestro cuerpo, nuestra humanidad se convierte en manifestación de Dios, de su modo de vivir la humanidad. Y esto comienza con nuestra semejanza a su muerte (cf. Rm 6,5).
Y no es por algún logro o triunfo nuestro por lo que nos convertimos verdaderamente en la casa de Cristo (cf. Hb 3,6), su morada, su habitación, y que nuestra humanidad da testimonio de quién es el que nos habita, por quién somos habitados.
Es algo tan íntimo, que nuestro yo participa de su yo, porque por la muerte despertamos en Cristo, diciendo con su yo, como Hijo de Dios: “Yo soy”.
SEMILLAS es una publicación del Centro Aletti disponible todos los viernes. Cada semana, además del audio de la homilía dominical, estará disponible en el sitio de LIPA un comentario a las lecturas de la Liturgia del Domingo, como así también a las lecturas de la semana.
»Vi pa niste v mesu, ampak v Duhu, če le prebiva v vas Božji Duh« (Rim 8,9).
Bratje, vi niste v mesu (en sarki), ampak v Duhu (en pneumati), če le (če je res, da; zato, ker) prebiva v vas Božji Duh.
Pomembno je, da dojamemo moč Pavlovega jezikovnega izraza, saj pokaže naš temelj, temelj našega bivanja, ki je Božji Duh, ki prebiva v nas.
Ker je to tako, ker je res tako, niste v mesu.
Gre za bivališče. Kdo prebiva v človeku? Kje živi človek? Kje je njegovo bivališče? Kje se resnično čuti doma?
Pavel pravi: »greh, ki prebiva v meni« (Rim 7,17). Če je človekov stanovalec greh, potem je njegova volja popolnoma pokvarjena in usmerjena k njemu samemu; je osredotočena nase.
To je tisto, ker je uspelo skušnjavcu že pri naših prastarših, namreč želeti zase, da bi sami postali to, kar hočejo (prim. 1 Mz 3). To pomeni, da volja ne more uresničiti tega, kar bi želela. Pavel namreč pravi: »Saj ne razumem niti tega, kar delam: ne delam namreč tega, kar hočem, temveč počenjam to, kar sovražim« (Rim 1,15). To pomeni, da je greh povzročil razkol med voljo in razumom. Pavel namreč ne more razumeti, in to je stvar uma, razuma, saj počne to, kar sovraži in ne tega, kar hoče.
Gre za zelo močan razkol med razumom in voljo. Še več, gre za še bolj prefinjen razkol: znotraj razuma in znotraj volje.
Čeprav razum pozna dobro, ki ga je treba storiti – saj ga predpisuje tudi postava –, ga premaga volja, ki je usmerjena k človeku samemu in zato ne more delati dobrega, ki je ljubezen in je neločljiva z Božjo osebo.
To je pomembno.
Volja bi rada delala dobro, vendar, če je usmerjena sama vase, ne bo delala resničnega dobrega, ki je ljubezen. Ljubezni ni mogoče ločiti od osebe Boga, kajti »Bog je ljubezen« (1 Jn 4,8).
Zato se lahko dobro uresničuje samo, če smo z Bogom. Biti z Bogom pa od nas zahteva, da smo osvobojeni volje, ki je vezana na nas same. Drugače smo popolnoma podvrženi svoji volji.
Ker ta volja biva v naravi, služimo naravi v njenih potrebah, te pa bi ob svojem času morale na veliko uveljaviti in uresničiti lastni jaz.
Namesto tega se od nas pričakuje, da se izpostavimo vsebini Božje volje, ki jo je treba dojeti kot ljubezen.
Božja volja je ljubezen in le, če jo dojemamo kot ljubezen, namenjeno vsakemu posebej, se lahko izpostavimo Božji volji, tako da On našo voljo napolni z vsebino svoje volje: »Zgodi se mi po tvoji besedi« (Lk 1,38).
Devica iz Nazareta je najbolj izjemna svetopisemska podoba izpolnjevanja Božje volje. »Vendar ne, kar jaz hočem, ampak kar ti!« (Mr 14,36), bo Jezus izrekel v molitvi v Getsemaniju.
In ta volja je načrt ljubezni, ne pa diktatura ali breme, ki tlači.
Čeprav sam Kristus prosi: »Moj Oče, če je mogoče, naj gre ta kelih mimo mene« (Mt 26,39), vendar kot Sin dojame, da je ta volja načrt ljubezni, kot bo kasneje zapisal Pavel (prim. Ef 1,5).
Da bi lahko izpolnjevali Očetovo voljo, nas mora nagibati ljubezen, kajti »Bog je ljubezen« (1 Jn 4,8). Če pa nas ne nagiba ljubezen, nima smisla izpolnjevati Božje volje, saj Bog ne želi sužnjev, ampak sinove. Bog je poslal svojega Sina, da bi mi lahko postali sinovi. Njegovo voljo namreč lahko izpolnjujemo samo kot njegovi sorodniki (prim. Jn 14,21). Jezus bo rekel: »Kdor koli namreč uresničuje voljo mojega Očeta, ki je v nebesih, ta je moj brat, sestra in mati« (Mt 12,50).
S tem, ko izpolnjujemo Božjo voljo, ko dopustimo, da se naša volja napolni z vsebino Božje volje, postanemo Kristusovi sorodniki, se pravi sorodniki Očeta, ki je v nebesih.
Vsebina Očetove volje nas v Kristusu povezuje kot sorodnike. Iz tega sledi, da je zelo površno misliti, da je treba razumeti nauk in ideje, potem pa pritiskati na voljo, da bi jih uresničila. To je huda duhovna zmota, zelo hudo zavajanje glede tega, kaj je pot v Duhu.
Takšen način ravnanja je odlična pot, da končamo na psihiatriji ali v kakem kotu cerkvene strukture, ki zaudarja po smrti, kot pravi nekdo, saj je kotiček napuha in zaslužnih ljudi.
Potrebno je sprejeti duhovno resničnost, saj je misel povsem podrejena volji, ko gre za to, da to voljo sprejmemo in uresničimo.
Ko pa svojo voljo darujemo Bogu, da jo lahko napolni s svojo vsebino, je povsem drugače, pravi Solovjov.
V nasprotnem primeru, tudi če hočemo izpolnjevati Božjo voljo, se niti ne zavedamo, da je naša misel povsem podrejena naši volji, ko gre za to, da jo izpolnimo, uresničimo. Vsaj način uresničevanja volje bo moj lasten, drugačen od drugih.
Že Bazilij Veliki je rekel, da je vsebina Božje volje ljubezen, kajti Bog ne more hoteti drugega kot to, kar on je, saj je vse in je ljubezen, zato je vsebina njegove volje ljubezen samega Boga.
Ko svojo voljo darujemo Bogu in on vanjo vliva svojo vsebino, se pravi ljubezen, samega sebe, je jasno, da to zares nahrani našo voljo in s tem celotno našo osebo ter tako zdravi našo človeško naravo.
Pogosto mislimo, da se je treba odpovedati svoji volji, vendar je to nemogoče brez tragičnih posledic. Kot vemo, se volja nahaja v človeški naravi, tako kot prehranjevanje, in jasno je, da se temu ne moremo odpovedati, razen za kratek čas ali kakšni določeni hrani. Tako pogosto storimo tudi z voljo. Odpovemo se ji za kratek čas ali na kakšnem področju življenja, da bi potem bili upravičeni, da jo uresničimo na drugih segmentih, pri drugih stvareh in na drugih področjih, predvsem pa, na nam lasten način. Koliko ljudi namreč srečamo, ki zgledajo zelo velikodušni, vedno želijo kaj storiti, radi bi ti celo pomagali, vendar vse samo po svoji volji!
Darovanje svoje volje pa je evharistično. Voljo darujem Očetu, v Kristusu, in to postane hrana za Božji način življenja v človeškosti.
»Moja hrana je, da uresničim voljo tistega, ki me je poslal« (Jn 4,34).
To je nadvse pomembno, saj ne gre za to, da voljo izničim, ampak, da si jo napolnim kot hrano za svoje bivanje, da bi lahko živel svojo človeškost, svojo človeško naravo na Kristusov način. V današnji Božji besedi namreč Pavel pove še eno temeljno resnico življenja v Svetem Duhu, ko pravi: »In če kdo nima Kristusovega Duha, ni njegov« (Rim 8,9).
To je zelo močna trditev.
Kristusu ne pripadamo s svojo privolitvijo, zgrajeno v soočenju med razumom, ki me prepričuje, in voljo, ki se z njim strinja.
Tako ne gre, kajti razum in volja naše narave sta pri krstu že šla preko smrti in sta sposobna sprejemati. Kristusu pripadamo, ko sprejmemo Kristusovega Duha, preko Kristusovega življenja, ki nam je podarjeno in ki ga sprejmemo.
»Kristusov Duh« je povsem nov izraz, ki ga uporablja Pavel. V Stari zavezi je omenjen »Božji Duh«, »Gospodov Duh«, »Duh Izraelovega Svetega«. Zdaj pa imamo »Kristusovega Duha«. V Stari zavezi Duh, dih življenja pripada samo Bogu, Pavel pa počasi prepozna, da pripada Kristusu (prim. Rim 1,4; 1 Kor 15,45; Flp 1,19). Tako pokaže Kristusovo božanstvo. Kristus je resnično Bog, ker je Božji Sin, »podoba nevidnega Boga« (Kol 1,15). On kot človek naredi Boga vidnega (prim. Jn 1,14). Še več, dal je, da v njem prebiva vsa polnost življenja: »Bog je namreč hotel, da se je v njem naselila vsa polnost« (Kol 1,19).
Kristusov Duh je torej njegovo bogo-človeško življenje. To pomeni, da z darom svojega življenja razteza na nas način, s katerim Božji Sin živi svojo človeškost.
Božji Duh, ki ga v tem prehodu že lahko razumemo kot Svetega Duha, je ta, ki je Kristusa obudil od mrtvih, po krstu pa sedaj prebiva v nas in nas ohranja vcepljene v Kristusa. Mi v Kristusu in Kristus v nas, po Svetem Duhu.
V duhovnem smislu je zelo pomembno, da se lahko dela telesa morijo samo po Duhu (prim. Rim 8,13), ne pa z idealizmom ali idealiziranim olepševanjem svoje resničnosti. »Če namreč živite po mesu, boste umrli, če pa z Duhom morite dela telesa, boste živeli« (Rim 8,13).
Pavel uporablja besedo telo in ne meso, ker želi pokazati, da je to, kar je najbolj neposredno namenjeno smrti, telo, saj ga hitro obvlada greh, ki se v njem naseli. Ta pa je premagan samo po daru, ki nam da živeti telo na Kristusov način.
Ne gre za to, da bi popravljali življenje v telesu, da bi ustrezalo kakšni naši normi, idealom, popolnostim, saj smrt izbriše vse te naše malike, namene, napore in vse razvrednoti.
»Z Duhom« (Rim 8,13) pomeni, da postane naše telo, naša človeškost razodetje Boga, načina, kako on živi človeškost. To pa se začne z našo podobnostjo njegovi smrti (prim. Rim 6,5).
S svojim dosežkom ali zmagoslavjem še ne postanemo Kristusova hiša (prim. Heb 3,6), njegovo bivališče, njegov dom, pa tudi naša človeškost še ne pričuje zanj, ki v nas prebiva.
Za nekaj tako intimnega gre, da je naš jaz udeležen pri njegovem jazu, ker smo se preko smrti prebudili v Kristusu, in z njegovim jazom Božjega Sina izrekli: »Jaz sem.«
SEMENA je rubrika centra Aletti, ki je na voljo vsak petek ali soboto (v italijanščini že v petek). Vsak teden bo na spletni strani LIPE poleg nedeljske homilije v zvočni obliki (v italijanščini) na voljo tudi poglobitev Božje besede nedeljske ali praznične svete maše.